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Putin: ritratto di una mente complessa


Putin - Foto di Alamy Stock Photo; Copyright: Alamy Stock Photo

Vladimir Putin ha sempre dimostrato di non essere una persona ragionevole, ma cosa è accaduto nella sua testa per portarlo ad attaccare in modo così brutale l’Ucraina? Per tentare di comprendere è necessario fare qualche passo indietro e ripercorrere alcune tappe fondamentali della sua vita.


Putin nasce a Leningrado, l’attuale San Pietroburgo, nel 1952, in una famiglia modesta, figlio di madre operaia e di padre ex sommergibilista della Marina Militare Sovietica e vive la sua infanzia in una kommunalka, abitazione tipica dell’Unione Sovietica nella quale diverse famiglie condividevano alcuni spazi come cucina, bagno e corridoio. Suo nonno fu cuoco al servizio di Lenin e di Stalin.


All’età di 16 anni tenta di entrare nel KGB, i servizi segreti sovietici, ma viene respinto a causa della mancanza di un titolo di studio. Spinto dalla voglia di riscatto, nonostante le possibilità economiche della famiglia non fossero agiate, il giovane Putin studia diritto internazionale all’Università Statale di Leningrado, dove si laurea nel 1975.


Aderisce al partito comunista e dopo la laurea entra finalmente a far parte del KGB, con la carica di responsabile del controspionaggio nella Seconda Divisione Generale. Rimane a Leningrado, dove si occupa di reclutare stranieri che siano disposti a diventare spie, fino a quando nel 1985 viene inviato nella Repubblica Democratica Tedesca, a Dresda. Nella Germania dell’Est collabora con i servizi segreti tedeschi, la Stasi, raccoglie informazioni e stila rapporti da inviare a Mosca per monitorare l’operato di altri.


Ed è proprio qui che Putin si trova il 9 Novembre del 1989, giorno della caduta del muro di Berlino. Quell’evento che ha cambiato la storia dell’Europa, per lui ha rappresentato un dramma, ha cambiato la sua vita per sempre. Putin ha raccontato in alcune interviste di aver passato giorno e notte a distruggere e bruciare dossier e comunicazioni nella palazzina di Angelikastrasse 4, sede segreta del KGB a Dresda: la quantità di documenti da distruggere nel fuoco era tale da aver provocato lo scoppio della stufa. Ciò che ha lasciato il segno più profondo in lui è stata però la dissoluzione dell’URSS e la conseguente perdita di potere di fronte alle Nazioni Europee. La notte del 5 Dicembre dello stesso anno, una folla inferocita di circa cinquemila giovani cerca di distruggere la sede della Stasi e la mattina seguente tenta di fare lo stesso con la vicina sede del KGB. Pare che Putin, che rappresentava la carica più alta rimasta ancora nell’edificio, si sia presentato dinanzi ai manifestanti minacciando di sparare, affermando di avere una pistola carica con 12 pallottole, ma mentre scendeva gli scalini che lo separavano dal portone, i manifestanti si sono disperdersi lentamente, evitandogli di dover compiere alcun gesto. Non è chiaro se ciò sia realmente accaduto oppure se si tratti soltanto di uno dei tanti avvenimenti ingigantiti e alterati, tutti facenti parte della campagna messa in atto al fine di aumentare il culto di Putin.


Durante lo scioglimento dell’Unione Sovietica Putin fa ritorno in Russia, a Leningrado. Qui, inizia a lavorare come consulente per gli affari personali presso l’ufficio del Sindaco Anatolj Sobčak, che fu suo relatore nella tesi di laurea dell’Università, dando avvio alla sua carriera politica. Tuttavia la situazione economica della Russia versava in condizioni disastrose e gran parte della popolazione si trovava al di sotto della soglia di povertà: anche Putin aveva bisogno di integrare il proprio stipendio e per farlo inizia a lavorare come autista privato, probabilmente abusivo.


Dopo essersi dimesso dal KGB a seguito del fallito colpo di stato contro il Presidente Michail Gorbačëv, Putin consolida il legame con Sobčak, che lo nomina Presidente del Comitato per le Relazioni Internazionali di Leningrado, denominata da questo momento San Pietroburgo. Mantiene tale carica fino al 1996, tuttavia già nel 1994 era stato eletto come deputato della Duma.


La svolta è avvenuta nel 1998 quando il Presidente Boris El’Cin affida a Putin la direzione dell’FSB, i nuovi servizi segreti russi. La sua carriera politica è in forte ascesa: l’anno successivo diviene Primo Ministro, in uno Stato da riformare, che deve fare i conti con una crisi economica, sociale e demografica, aggravata anche dalla guerra in Cecenia. L’allarme terroristico partito dal conflitto nel Caucaso settentrionale e giunto fino a Mosca ha alimentato in Putin la volontà di intraprendere una nuova campagna militare in Cecenia, ottenendo grande popolarità in Russia. Per accrescere ancora di più il favore delle masse nei suoi confronti, il primo gesto compiuto da Primo Ministro è stato quello di visitare le truppe russe coinvolte nella rivolta in Cecenia, segnando così il riavvicinamento dello Stato ad un esercito demotivato.


In seguito alle dimissioni di Boris El’Cin nel Dicembre del 1999, Putin viene nominato Presidente della Russia e il suo mandato si consolida con le elezioni del 2000. Da questo momento l’esercito russo riprende l’avanzata fino a recuperare gradualmente l’intera regione della Cecenia, compresa la capitale Grozny, e Putin nomina come nuovo leader di quel territorio il filo russo Akhmad Kadyrov, che viene ucciso nel 2004 dallo scoppio di una bomba durante una parata nella capitale.


Nella primavera del 2004 Putin viene riconfermato Presidente per il secondo mandato consecutivo: in questi anni attua una serie di riforme e provvedimenti per consolidare la sua leadership nel Cremlino, costruendo un governo formato prettamente da suoi fedelissimi. Questo mandato è caratterizzato dalla presenza di alcune ombre sulla personalità di Putin, mai confermate o provate, ma che hanno insinuato dubbi sulla sua condotta morale: in primis la morte in circostanze sospette della giornalista Anna Politkovskaja, la quale stava indagando sul coinvolgimento con organizzazioni criminali cecene del Presidente russo, e successivamente l’omicidio di un ex esponente del KGB, Aleksandr Litvinenko, morto a causa di avvelenamento da polonio 210. Non sono tuttavia mai emersi elementi sufficienti tali da provocare conseguenze penali e legali.


Secondo la Costituzione Russa, un Presidente non può essere rieletto per più di due mandati consecutivi, ma ciò non preoccupa affatto Putin, il quale al termine del secondo mandato spinge per la candidatura del suo “delfino” Dmitrij Medvedev. Riesce nel suo intento, e Medvedev diviene Presidente della Russia, nominando Putin come Primo Ministro. In questi anni il suo potere si consolida sempre più, e fa sì che vengano apportate modifiche alla durata del mandato presidenziale, che passa da 4 a 6 anni. La sua politica continua a tenere al centro la questione militare, gestendo direttamente la crisi in Georgia, che culmina con la riconquista dell’Ossezia.


Nel 2012 Putin torna al Cremlino come Presidente, vincendo le elezioni e riconfermando il suo potere e il consenso costruito negli anni precedenti. Non trascorre tanto tempo dal suo insediamento al dover affrontare una situazione molto delicata, riguardante l’Ucraina. Nel mese di febbraio del 2014, prende avvio uno scontro fra polizia e dimostranti ucraini nella città di Kyiv contro la volontà del governo di aderire all’Unione euroasiatica fortemente voluta da Mosca: tale scontro si traduce nella “rivoluzione” di Piazza Maidan, culminata con la caduta del Presidente eletto Viktor Janukovyč.


Da questo momento in poi il rapporto tra la Russia e l’Ucraina si fa sempre più complesso e teso, fino a quando in alcune zone viene instaurato un governo filo russo i cui esponenti indicono un referendum per l’annessione dei territori della Crimea nella Federazione Russa. Il referendum, al quale hanno partecipato tutti i cittadini ucraini maggiorenni e i russi residenti, aveva l’intento di “giustificare” l’invasione militare in Crimea, ma proprio a causa della massiccia presenza in questa zona delle truppe russe, a livello giuridico e legale ha ben poca valenza e non è mai stato riconosciuto da quasi nessuna Nazione estera, tantomeno dall’Ucraina, che continua a considerare la Crimea come un territorio momentaneamente occupato.


Nel Donbass si combatte da 8 anni una guerra fra l’esercito ucraino e le forze filo russe sostenute da Mosca. Sono state numerose le vittime, da entrambi i lati, ma i media di Stato russi e lo stesso governo hanno accusato l’Ucraina di aver compiuto un genocidio in quei territori, con lo scopo di depurarlo dalla popolazione russofona. Non vi sono prove reali di ciò, tanto da far crescere tra le Nazioni, soprattutto fra quelle occidentali, l’idea che si tratti di una strategia di Putin contro il governo di Kyiv, per creare una finta realtà che possa in qualche modo giustificare i suoi comportamenti. È vero che le vittime stimate durante la guerra del Donbass sono pari ad oltre 14.000, ma non risulta in alcun rapporto che si tratti soltanto di separatisti filo russi, si tratta invece anche di soldati ucraini e soprattutto di civili.


Dopo aver svolto un ruolo importante come mediatore nella guerra civile in Siria nel 2013 scongiurando l’intervento americano contro il governo siriano, la svolta politica per Putin avviene nel 2015, quando il parlamento russo approva la missione in favore di Bashar Al Assad, leader siriano, dopo anni di guerra civile, segnando il ritorno definitivo della Russia nella politica internazionale, con un ruolo centrale.


Nel 2018 Putin viene eletto per il suo quarto mandato, consolidando il suo potere come uno dei più duraturi della storia della Russia, con un livello di popolarità davvero elevato. Ha fatto sì che il vincolo dei due mandati non rappresenti più un ostacolo alla sua ricandidatura, ma gli avvenimenti recenti in Ucraina potrebbero minare per sempre la prosecuzione della sua presidenza a capo della Russia.


Putin - Foto di: Asatur Yesayants; Copyright: (c) 2020 Asatur Yesayants

Il pensiero imperialista di Putin lo ha portato ad affermare che l’Ucraina non è uno stato indipendente, ma che è stato creato da Lenin e dunque proprio per questo fortemente legato e connesso alla Russia. Ma ciò non è sufficiente a difendere l’intervento militare iniziato all’alba del 24 febbraio, sotto il nome di "operazione speciale di demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina". Questo gesto è ingiustificabile e viola tutti i diritti umani e internazionali, va contro la logica e la morale, è un crimine contro un popolo che non ha altra colpa se non quella di appartenere a quel territorio, e che su quel territorio probabilmente non potrà mai più vivere la vita come aveva sempre sperato.


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